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martedì 23 dicembre 2008

You can make a fortune in lies

Criticare l'università italiana è facile, specie confrontandola con le altre università europee o con gli USA.

Tutti sanno indicare delle ottime ragioni pratiche per cui negli ultimi anni le nostre università vanno sempre peggio: moltiplicazione dei corsi, delle sedi, organigramma a piramide rovesciata, carriera interna, finanziamento pubblico ... solo che poi se uno va a guardare i dati e a confrontare l'italia con le altre nazioni europee e con gli USA, queste "ottime ragioni" non sembrano più tanto convincenti.

Se foste curiosi al riguardo, ci sono dei begli articoli su lavoce.info, su numero di atenei e corsi e su organigrammi e carriera interna.
Mi pare a suo tempo d'aver letto un articolo che sfatava anche il mito del finanziamento privato negli USA (una larga fetta dei fondi di ricerca viene da enti statali tipo Department of Energy, Department of Defense, ...), ma ora non riesco a trovarlo.

Non dico che non si debba criticare lo stato dell'università e la ricerca italiana, ma facciamolo usando punti più validi: scarsezza di fondi e utilizzo poco efficiente di quelli che ci sono; reclutamento e carriere scarsamente collegate al merito, mafie varie, sistemi di valutazione che rendono i laureati tutti uguali (appiattimento dei voti e lauree tutte uguali)

Tanto per fare un esempio, se uno ha a disposizione buoni professori la moltiplicazione dei corsi produce molti buoni corsi ed è positiva (permette agli studenti di scegliere il loro percorso formativo più interessante o più adatto alla professione che vorrebbero fare), mentre se di professori buoni ce ne sono pochi il risultato è l'opposto (si moltiplicano corsi tenuti da professori scadenti, o fatti di fretta da un professore che deve seguire troppi corsi).

Idem per il reclutamento: ci sono modi migliori e modi peggiori per selezionare ricercatori e docenti, in italia ne sono stati tentati tanti e sempre con scarso successo. Ma non è che i nostri metodi sono (tanto) sbagliati, è che da noi spesso le università non vogliono davvero selezionare il miglior candidato per un dato posto [vedi anche qui]

Un po' di cose per migliorare l'università si possono fare, e alcune non richiedono nemmeno di aumentare il finanziamento; addirittura, non tutte le cose che sta facendo l'attuale ministro sono sbagliate - ma del resto sbagliare proprio tutto diventa difficile anche solo per ragioni statistiche.

In quest'articolo ho citato solo da lavoce, ma solo per comodità tipografica, e non è che tutto quello che scrivano vada preso come oro colato (i dati sono veri, l'interpretazione è come sempre un'interpretazione); comunque, è un sito che offre sempre interessanti spunti di riflessione.

mercoledì 8 ottobre 2008

La ricerca del vicino è sempre meno al verde?

Ieri raccontavo a una mia amica canadese il cattivo stato della ricerca in Italia, e come ce ne dovremo forse fuggire tutti all'estero - s'è messa a ridere, e ha detto che lo sente dire da tutti, indipendentemente dalla nazione d'origine.

Di sicuro questo è almeno in parte vero: ovunque mancano le posizioni permanenti e la gente vive di contratti a termine per un paio d'anni; quasi ovunque lo stipendio di un post-doc è meno di quello di una cassiera del supermercato (del resto fare la cassiera è molto più noioso); ovunque, per ovvie ragioni, si bandiscono più borse di dottorato che cattedre di professore ordinario.

Però tutto sommato credo che ci siano comunque delle differenze: nel "bel paese" i concorsi sono tutt'altro che limpidi (compreso il PhD in SNS), ed è assai raro che ai giovani siano assegnati in Italia responsabilità e fondi per mettere su un gruppo di ricerca (questo mi sembra accada più facilmente in paesi tipo Francia o Germania).

giovedì 8 novembre 2007

Che fanno i laureati?

Repubblica scopre oggi l'indagine di Almalaurea sui laureati triennali nel 2005, che e' stata pubblicata quasi sei mesi fa... se mi e' concesso fare una lamentela, impiegano quasi piu' tempo a farci avere i dati di quanto ne impieghi la gente a laurearsi.

In ogni caso, ho dato un'occhiata alle diapositive, anche se avrei preferito avere i risultati analoghi sulla laurea specialistica (il 60% delle persone prosegue alla specialistica, quindi chiedersi cosa fa alla fine della triennale non mi sembra troppo rilevante...)

La maggior parte non mi sembrano cosi' terribili:
- slide 5: un 60% va alla specialistica, un 50% scarso lavora (un 16% fa entrambi), solo il 5% cerca lavoro senza trovarlo e quasi il 3% non lo ha ne' lo cerca; non so esattamente come si definisca il tasso occupazionale, ma mi pare che le cose non siano tanto preoccupanti.
- slide 8: si va alla specialistica per interesse (66%) o perche' comunque serve per lavorare (31%); ragionevole, no? e se non ci si va, le vere motivazioni che devono preoccuparci sono "mancanza di un corso adatto" (15%) e "motivi economici" (6%), e al limite forse la mancanza d'interesse (7%), visto che chi non ci va per lavorare (53%) o per fare altra formazione post laurea (9%) non e' un problema, e i problemi personali / altro / non sa-non risponde sono pochi e non facili da analizzare; anche in questo caso la situazione non mi pare tanto preoccupante.
- slide 9: un po' piu' preoccupante e' il fatto che fra le donne che non proseguono alla specialistica quelle che lo fanno per lavoro o per fare altra formazione post-laurea sono un 11% in meno rispetto agli uomini (cioe' se ne 'perdono' un 11% in piu'?) e sono molte di piu' quelle che non trovano una laurea specialistica in cui proseguire (16.7 rispetto a 10.2)... pero' forse questo dato andrebbe ricalibrato facendo i calcoli separatamente disciplina per disciplina, altrimenti non si capisce se l'effetto e' dovuto solo alle differenti proporzioni delle diverse facolta' fra ragazzi e ragazze
- slide 11: chi prosegue nella specialistica di solito va nel posto ovvio, a parte magari per le aree disciplinari in cui la prosecuzione alla specialistica e' meno frequente (rivetete la diapo #7). Nulla di strano.
- slide 16, i soldi: non sorprende tanto che chi lavora mentre fa la specialistica guadagna di meno di chi lavora solamente, mentre sembra esserci una sproporzione enorme nei guadagni fra i sessi...
- slide 18: se ci si limita solo a chi lavora seriamente (a tempo pieno, senza riprendere un lavoro iniziato prima della laurea) gli stipendi sono meno sbilanciati sia fra le materie che fra i sessi (ma comunque i quasi 90 euro mensili in piu' guadagnati dagli uomini non sono minimamente giustificabili, in questo campione e una volta separate le persone per disciplina!)
- slide 17, i guadagni per materia: si nota secondo me un certo sbilanciamento dovuto al fatto che un laureato triennale in una materia pensata per essere triennale (tipo il "Medico (Prof. san.)", qualunque cosa esso sia) e' una figura completamente diversa da un laureato triennale in una disciplina che nella quasi totalita' dei casi spingerebbe a un proseguimento degli studi (scienze, lettere, legge, ...); se di solito i piu' bravi proseguono gli studi invece di lavorare e non finiscono nelle statistiche e non alzarno gli stipendi medi del gruppo.
- slide 19 e 20: confronto fra guadagni vecchio e nuovo ordinamento: mi pare ragionevole che i laureati triennali che cercano lavoro lo trovino piu' spesso di quelli vecchio ordinamento per la stessa ragione di prima, che chi si ferma a tre di solito ha scelto una facolta' da cui e' diretto andare a lavorare, mentre le persone che rischiano di rimanere "sospese" credo si iscrivano alla specialistica ed eventualmente rimangano sospese dopo quella.

Non mi pare che questo debba farci pensare "che merda che e' l'universita' italiana" o che "rimarremo tutti disoccupati".
Ma dove sono le statistiche per la quinquennale?

P.S. perdonate gli accenti, scrivo dall'INFN mentre aspetto che il software elabori i miei dati.