domenica 2 dicembre 2007

*topie

Probabilmente siete in tanti ad aver letto "1984" (1948) o "Fahrenheit 451" (1953), fra i più famosi romanzi distopici dello scorso secolo.
Orwell considera una possibile evoluzione negativa della nostra società soprattutto sul piano della politica, mentre Bradbury si sofferma più sulla cultura - e alcune delle cose che pronostica non sono così lontane dalla realtà, visto quanto sono popolari i reality show in tv.

Un libro più intrigante è "Brave new world" di Huxley pubblicato prima (1932) e ambientato dopo (2540): la società dipinta in questo romanzo è assolutamente anti-illuministica, con le classi sociali imposte geneticamente alla nascita e il condizionamento psicologico degli individui, e anti-romantica, visto che non esiste l'amore e l'arte è ridotta a un cinema di basso livello ma che trasmette su tutti i cinque sensi.
A differenza di 1984, in cui gli abitanti si sentono giustamente oppressi, nel mondo nuovo di Ford tutti vivono assolutamente felici, grazie anche al condizionamento e alla droga di stato - eccetto pochi originali insoddisfatti che vengono spediti su delle isolette per non nuocere alla società.

Probabilmente invece siete in pochi ad aver letto "Noi", di Zamyatin (o Zamjatin), che precede tutti di più di un decennio (1921), ma gode di scarsa popolarità: è anche difficile trovarlo in italia, nonostante Feltrinelli continui ad averlo a catalogo.
Si tratta di un bel romanzetto di fantascienza su un mondo in cui le persone hanno numeri invece di nomi e gli incontri fra uomini e donne sono regolamentati come i turni di lavoro. La società è quasi perfettamente razionale: tutti i comportamenti stravaganti sono eliminati, eccetto per alcune sette di individui strani che vivono al di fuori delle città di vetro.

Come Huxley, anche Zamyatin non ci permette di attaccare la sua società facilmente quanto il Grande Fratello di Orwell: i suoi abitanti sono felici, e chi vuole cambiare le cose cerca di turbare questo stato utopico.

    But I don't want comfort. I want God, I want poetry, I want real danger, I want freedom, I want goodness. I want sin."
    "In fact," said Mustapha Mond, "you're claiming the right to be unhappy."
    "All right then," said the Savage defiantly, "I'm claiming the right to be unhappy."
        [da Brave new world, cap. 17]


Da dove deriva la nostra convinzione che quelle società siano sbagliate? non credo dal fatto che sembrino irrealizzabili, che non funzionerebbero nella realtà, perché non è affatto ovvio a priori che sia così.
Sembra quindi che ci siano quindi valori che nella nostra etica contano più della felicità, non solo del singolo - sarebbe facile - ma anche dell'umanità intera?
Questo fatto sarebbe tutt'altro che banale, incrinerebbe la visione per cui etica, stato e simili strutture siano fatte al solo scopo di farci vivere meglio.
In realtà c'è una spiegazione alternativa: potremmo ritenere che l'utopia/distopia narrata sia possibile ma improbabile, o che il cammino per raggiungerla passi per società assai meno felici di quella attuale; e potremmo pensare che il nostro cammino ci porti con maggior affidabilità verso un mondo altrettanto felice.
Ce n'è pure un'altra: potremmo credere che la felicità dipenda assai poco dalla situazione sociale, sia talmente soggettiva che la frazione di persone che la raggiungano non possa mai cambiare: a quel punto, se la distribuzione di felicità rimane la stessa, tanto vale perseguire altri valori ed aspirare ad un mondo ugualmente felice - non essendoci alternative - ma più giusto e culturalmente più ricco.

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